Alcuni genitori pare si aspettino che rivolgersi ad uno/a psicologo /a per i propri figli e figlie significhi trasformarl* in soldatin* obbedienti e che non danno problemi.
I/le figli/ie danno problemi. Punto.
Danno problemi perché le relazioni danno problemi, per il fatto stesso di aver a che fare con persone diverse da noi. I figli danno problemi perché non sono adulti e perché hanno bisogno di essere accompagnati da noi grandi, col nostro esempio, a muoversi nella vita con serenità, fiducia in se stessi, rispetto di sè e dell’Altr*.
Se volete aiutare il/la vostr* meraviglios* adolescente perché è ansios*, o rabbios*, o nel ritiro sociale, o altro, se si riesce ad intraprendere questo percorso (già cosa non scontata), se il supporto dà benefici e vostr* figli* sta molto meglio, allora non può poi accadere – vi prego – che, appena realizzate che le cose stanno andando bene, partite con la storia del “però così no”. No, non deve succedere che iniziate con la richiesta che deve studiare di più, con la lamentela che deve andare meglio a scuola, con l’aspettativa che non deve essere disordinat* e cose di questo tipo.
Cercate di comprendere che questo atteggiamento centrato esclusivamente sulle richieste e focalizzato sulle prestazioni va rimesso in discussione perchè trasmette giudizio, accusa, colpevolizza, fa sentire sempre inadeguat*.
Da genitori, ma anche da insegnanti, dovremmo cercare di capire quando e quanto i nostri toni e la nostra comunicazione siano impregnati delle nostre frustrazioni, delle nostre rabbie, delle nostre inconsapevolezze, molte volte di quel rancore che proviamo ancora verso i nostri genitori che forse sono stati autoritari e non hanno così favorito la costruzione di nostri percorsi di vita che ci corrispondessero, che fossero fondati su libertà di pensiero e di scelte.
Se diciamo “cose buone e giuste” (ad esempio che è importante mettere impegno nello studio, anche se non tutto può piacere, e altre cose sagge) ma le diciamo con livore, arroganza, trasudando malcontento e infelicità per la vita in cui noi ci sentiamo intrappolat*, quale messaggio educativo pensiamo di poter trasmettere davvero? Nessun contenuto “buono” passa se l’esempio che diamo è di insoddisfazione profonda verso la vita (o per chi siamo diventat*).
Dovremmo provare a renderci conto che, se non usiamo empatia, se siamo solo richiestivi senza ascoltare davvero, rischiamo di pretendere e prevaricare, come se il nostro bisogno di perfezione fosse l’unico che davvero vorremmo vedere soddisfatto dai successi di nostro/a figlio/a. Dovremmo chiederci cosa significa per lui/lei realizzarsi, star bene, dovremmo chiedere a nostr* figli* cosa desidera, cosa teme, a cosa ambisce, accettando anche e soprattutto che faccia le sue esperienze, che decida per cambi di rotta, passando da errori e cedimenti.
Mi pare che si faccia sempre più fatica a vedere che è proprio la finta educazione, l’educazione di facciata, superficiale, che cresce ragazz* indifferenti, violent*, ragazz* che fanno male a chi è più debole, a chi è più sensibile, a chi è divers*, perché loro per prim* sono stat* bambin* prevaricat* dentro casa, da genitori pronti solo a criticare, a minacciare, a urlare.
Triste e inquietante vedere tanta ostentazione di rapporti idilliaci nei selfy di famiglia, postati ad esibire ciò che forse non c’è: l’amorevolezza vera e profonda per i/le giovani, per le loro fragilità. E per le proprie, che in realtà sarebbero fragilità più che legittime, da accogliere, per cambiare lo spirito e le sorti di quest’epoca beffarda.
P.s. Per fortuna sono davvero pochi i genitori con cui trovo così difficile lavorare perché di solito chi è seriamente e sanamente preoccupat* per il/la proprio/a figlio/a, e chiede aiuto per comprendere e gestire diversamente le dinamiche familiari, è molto dispost* al dialogo, allo scambio, al confronto, e a mettersi in gioco.
E’ però una cosa molto triste – e lo ammetto, mi muove rabbia – che siano spesso genitori che di mestiere fanno l’insegnante a restare arroccat* sulle proprie arroganti posizioni. Troppe persone che hanno il ruolo di educare generazioni di bambin* e adolescenti ancora oggi non hanno compreso quanto sia fondamentale partire dal lavoro su se stess* per poter trasmettere messaggi educativi coerenti e amorevoli, che crescano quelle “persone per bene” vere, di cui il mondo ha tanto bisogno.
Ne ho conosciut* e ne conosco tant* di “insegnanti per bene”, per loro provo un senso di profonda gratitudine, per il carico che portano e per le risorse che tirano fuori, pur facendo parte di un sistema che spesso fa acqua da tante parti, ma scusate se ancora mi soffermo sul segnalare che purtroppo abbiamo, tra i banchi di scuola, nelle associazioni sportive, nelle case, troppe figure educative che di educante/educativo/educato non hanno nulla. Eppure affidiamo loro intere generazioni di futuri adulti. Che cieca follia!