DOTTORESSA, MI DICA, DOVE STO SBAGLIANDO?

“Dottoressa, mi dica, ho sbagliato qualcosa con mio figlio?”. “Ma ovvio! Certo che ha sbagliato qualcosa! E vedrà che sbaglierà ancora!”. Seguono facce spaesate, con espressioni tra lo stupore, l’offesa e il bisogno di giustificarsi (qualcun* vedo anche che si trattiene dal mandarmi a spendere, contando fino a dieci).

Ecco, questo è un frammento-tipo di colloqui che, almeno una volta al giorno, nel mio studio, ritrovo nelle sedute con genitori. Spesso si tratta di madri e padri che conosco da poco e che ancora non ho traghettato nel magico pianeta dell’imperfezione (dove in realtà sono già, insieme a me e al resto del mondo, ma non lo sanno ancora). 

Il caro vecchio Winnicott, nel secolo scorso, già ci illuminava parlando di “madre sufficientemente buona”, concetto che, da genitore, ho sempre trovato altamente rassicurante e che – vi dirò – anche da figlia, negli anni universitari, mi ha aiutato a riequilibrare e sostenere meglio certe mie rabbie e tristezze. Sufficientemente buon* significa non essere sempre sul pezzo, sempre pront*, sempre nel controllo, sempre nella capacità di fronteggiare le esigenze di figli e figlie, significa addirittura non anticiparne mai i bisogni – cosa che anzi, quando avviene, risulta alquanto deleteria per i/le fanciull*. Un genitore che non educa all’attesa rende il/la propri* figli* frustrat* in partenza perché non saprà stare nelle inevitabili frustrazioni della vita; un genitore che non lascia al/alla figli* il tempo di sentire e riconoscere le proprie necessità, anche passando da un po’ di lecita sofferenza, da un momento di crisi (proporzionata all’età), non aiuta il/la figl* a comprendere quali direzioni vuole seguire, quali progetti, quali desideri, quali paure è dispost* ad affrontare, quali risorse può attivare (leggi anche questo mio post sulle madri controller); e quest* figli* non avrà la possibilità di imparare a credere in se stess*, di confidare nelle proprie forze, di avere chiaro il valore di sé. Un genitore che soddisfa tutti i bisogni, e troppo in fretta, non accompagna i/le figli* nel percorso di crescita, di consapevolezza, di consistenza, di serenità e felicità possibile, analogamente ad un genitore assente, troppo poco attento, non accudente e non affettivo.   

Dunque, da genitori sbagliamo spesso, o sarebbe un guaio! Che maledizione la perfezione, quella cosa che non esiste! Inseguirla è puro stress! Tentare di sembrare perfetti agli occhi dei nostri figli e figlie è:

– esposizione continua alla nostra frustrazione, e alla loro (futura, se non presente), 

– esibizione perseverante di impotenza, 

– trasmissione quotidiana di senso di fallimento.

In conclusione, tendere alla perfezione fa danni. Se tendere alla perfezione va pure a braccetto col richiedere la perfezione a figli e figlie, questi danni vengono potenziati: in loro, in noi, nella relazione tra loro e noi, e nel modo in cui si approcciano alle loro relazioni.

Accontentiamoci dunque di fare tendenzialmente bene, ambiamo ad essere sufficientemente capaci di ascoltare, di comprendere, di dare affetto, di guidare verso valori di umanità; accogliamo le nostre stanchezze, i nostri crolli di pazienza, i nostri dubbi e i nostri timori come elementi naturali del vivere. Questo ci renderà anche più facile accogliere le stanchezze, i crolli, le fragilità, le paure di bambin* e adolescenti che dal nostro esempio dipendono e da noi traggono nutrimento per esplorare e sostenere la vita con fiducia e con coraggio.

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