MIO FIGLIO E’ UNA MIA ESCLUSIVA

Spesso si tratta di situazioni conseguenti a separazioni tra i coniugi che poi si ripercuotono sui rapporti genitori-figli. In molti altri casi, questa ricerca di “esclusiva genitoriale” sui figli, da parte del genitore escludente, non è invece collegata alla fine del rapporto di coppia tra i genitori, ma diviene una dinamica familiare caratteristica. 

Si può trattare di un allontanamento che il genitore escludente mette in atto – a volte intenzionalmente, a volte in modo involontario – per essersi sentito ferito dal partner (ad esempio a causa di un tradimento); in questo caso il genitore ferito può sentire naturale proteggere il figlio dall’altro genitore, dato che ormai ritiene questa persona, rispetto a sé, come negativa e inaffidabile, dunque estende il proprio vissuto ai figli (come se i figli stessi fossero una propria estensione!). Si può anche trattare dell’esclusione che un genitore opera verso l’altro genitore, a seguito di una sorta di “usucapione del figlio”: frasi del tipo “Me ne sono occupata io da sempre, ti sei ricordato ora di essere padre? Adesso tu non hai alcun diritto!” rendono bene questo concetto.

Il rischio è che i figli si trovino davanti alla suddivisione tra genitore buono e genitore cattivo e che risolvano il dilemma “è giusto amare entrambi se uno dei due non mi ama come l’altro?” con la soluzione trovata per loro dal genitore escludente: abbandonano il genitore che in qualche modo già li ha “abbandonati” (ad esempio perché papà si è trasferito mentre mamma è rimasta a vivere con loro). I figli così, pur adattandosi alla situazione, a volte in tempi sbalorditivi, covano dentro di sé risentimento, negatività, rabbia, sfiducia nel futuro, diffidenza verso l’Altro, tristezza e sconforto, e rischieranno di vedere minate nelle fondamenta la propria autorealizzazione, e la realizzazione di un proprio sano progetto futuro di coppia/famiglia.

E’ fondamentale che i compiti genitoriali vengano condivisi dai genitori. Ciò non vuol dire programmare turnazioni ossessive alla ricerca dell’equità dell’impegno profuso (ora cambio il pannolino io, il prossimo tu, oggi lo accompagno a scuola io, domani tu, ieri ho preparato la cena io, oggi tu, ecc). La condivisione deve muoversi ad un livello profondo: aldilà di spartirsi le fatiche (ovviamente cosa desiderabile) la comunicazione tra mamma e papà funziona se nessuno dei due genitori si sente solo ed unico riferimento per i propri figli! Può capitare questo (in periodi particolari, fasi di crescita dei figli, piuttosto che esigenze/difficoltà temporanee degli adulti) ma c’è pericolo quando questa è la modalità abituale, acquisita e portata avanti con convinzione. Ci si deve assumere responsabilmente l’impegno di non parlare male dell’altro genitore al figlio e/o in presenza del figlio, di non svelare ai figli motivi di litigi che sono ferite per la coppia e non per la genitorialità (ad esempio tradimenti o problematiche legate all’intimità); ci si deve assumere responsabilmente l’impegno di non usare i figli come valvola di sfogo e/o come confidenti. Spesso c’è una fortissima necessità -comprensibile, lecita, utile – di cercare confronto e conforto negli altri perché non ci sentiamo capiti e sostenuti dal partner, ma non dobbiamo sfogarci e confidarci proprio coi nostri figli, che non possono liberamente e con cognizione di causa darci sostegno. E’ anche fondamentale avere l’accortezza di non far sparire l’altro genitore dalle conversazioni coi figli come fosse (ad esempio dopo una separazione) improvvisamente divenuto un taboo, o una presenza immaginaria che esiste per i figli solo quando l’altro genitore non c’è. Anche in questo caso il pericolo è che il figlio si senta diviso, frammentato, non compreso nella sua pienezza, ad esempio mutilato nel desiderio di condividere con mamma le cose belle fatte insieme a papà nel tempo passato con lui. 

Quando un genitore si arroga il diritto di unicità, bisogna almeno che l’altro genitore trovi in sé la forza e la lucidità di provare a comprendere che se questo sta accadendo, sta poggiando su una comunicazione debole tra genitori, su una superficialità nell’espletare i ruoli genitoriali, come si trattasse solo di “cose pratiche da fare” e non di scelte da prendere, decisioni da condividere, valori da esplicitarsi vicendevolmente e per cui discutere fino a capirsi meglio, capirsi di più.

Noi psycho possiamo essere fondamentali davvero per aiutare un genitore escludente a prendere consapevolezza di quanto le modalità che mette in atto siano dannose prima di tutto per i propri figli; e per aiutare un genitore che si sente escluso a trovare la chiave per provare ad aprire la porta delle paure dell’altro che possono così ridursi fino a svanire, nel momento in cui possono essere affrontate insieme. Può trattarsi di percorsi non facili e non immediati, ma certamente non può che valerne la pena, essendoci sul piatto il benessere (o il malessere quindi) reale e autentico, presente e futuro, dei propri figli. 

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