QUANDO NOI PSYCHO RISCHIAMO DI DIMENTICARE CHE LO/LA PSYCHO-PAZIENTE NON VIVE SOSPESO IN UNO SPAZIOTEMPO AVULSO DALLA REALTA’

Perché questa simpatica affermazione? hahaha … Perché so bene come le psycho-sedute abbiano spesso il potere (non magico, ma terapeutico) di lasciare per un po’, finalmente, il mondo fuori dalla porta… e diciamocelo pure: che piacevolissima esperienza! E’ infatti bene che questo accada e anzi che, da psycho, ci mettiamo nell’attenzione di favorire questa possibilità, con tutti gli accorgimenti opportuni, tanto per citarne uno banale ma non scontato: che i cellulari siano silenziosi, salvo eccezioni concordate. Un’eccezione può essere ad esempio relativa alla necessità per il/la Paziente di ricevere notizie urgenti sullo stato di salute di familiari in ospedale; oppure – su tutt’altro versante – un’eccezione può essere che abbiamo concordato con Pazienti molto ‘controllanti’, non ancora nella capacità di allentare questo bisogno alterato di controllo, che possano dare un’occhiatina veloce ogni tanto alle notifiche del cellulare, in una sorta di compromesso temporaneo che permetta loro comunque di venire, e stare in seduta, al meglio che possono attualmente; oppure un’eccezione può essere per Pazienti in un turno di lavoro di reperibilità (devo dire che in questo caso sarebbe meglio fissare l’incontro in altro giorno, ma a volte per più motivi, può succedere di non poter fare diversamente…e si fa come si può). Attenzione attenzione: l’eccezione deve essere legata al/alla Paziente, non a noi psycho! Se siamo noi in una circostanza per cui abbiamo esigenza di essere reperibili, piuttosto spostiamo l’appuntamento. Pacifico, no? E non vi rubo tempo per spiegare perché in seduta noi psycho non dovremmo nemmeno sognarci di rispondere a telefonate, siete d’accordo? (Se non lo siete, scrivetemi che ci confrontiamo).

In questo post vorrei però in realtà parlarvi, non delle eccezioni concordate in cui il mondo esterno entra momentaneamente in seduta, ma di tutte le situazioni in cui lavoriamo con i/le Pazienti come se non esistesse la loro realtà esterna. Questo rischio esiste soprattutto con Pazienti adolescenti. Quando seguiamo bambin*, i genitori (o gli adulti di riferimento) sono necessariamente parte integrante dei percorsi psycho; quando invece lavoriamo con adolescenti, magari più o meno a cavallo della maggiore età, giustamente i genitori (salvo particolari circostanze) li teniamo, tutto sommato, più fuori che dentro al percorso (concordando con loro incontri periodici, vedi anche questo post): alcune situazioni tuttavia si possono sbloccare e modificare solo intervenendo anche sul contesto di riferimento e l’adolescente ha spesso bisogno della nostra mano per incidere in qualche modo sul proprio ambiente. Quando questo ambiente è ricettivo e si mette in gioco, comprendendo quanto conti rivisitare insieme certe dinamiche, tutto si infila al meglio. Quando questo ambiente parentale non è così capace/disposto a mettersi in gioco, il vissuto del/della nostr* Paziente adolescente (e il nostro) può essere di grande frustrazione, o impotenza: può passare il messaggio che il/la nostr* giovane Paziente ‘non ce la stia mettendo tutta per star bene’ (cito una frase un po’ inflazionata, che rasenta il luogo comune, se estrapolata dalle specificità reali).

Esempio: Debora (come sempre, nome di fantasia), 17 anni, studia molte ore al giorno, tutti i giorni, ha voti eccellenti e grandi crisi di ansia ad ogni interrogazione/verifica. Quando ho incontrato i suoi agli inizi del percorso, mi hanno detto che erano molto preoccupati per lei, che non individuavano motivi per cui questa loro figlia, tanto in gamba, fosse così ansiosa. Quando conosco Debora, emerge abbastanza facilmente come lei senta di non dover deludere nessuno, genitori, nonni, insegnanti; sente che tutt* si aspettano da lei ‘grandi cose per il futuro’, dunque, imprescindibilmente, ‘solo ottimi voti a scuola’. Quando le chiedo cosa accadrebbe se abbassasse un po’ la media dei voti, mi dice che per i suoi ‘sarebbe una tragedia, una catastrofe, la fine del mondo!’. Ed è molto seria, nel dirlo, nient’affatto ironica o divertita dall’argomento. Io, abituata alle adorabili esagerazioni e fantasie adolescenziali, ammetto di aver un po’ sminuito i suoi timori (che erano certezze, piuttosto che timori, a dire la verità); ma quando – sempre in accordo con lei – ho re-incontrato i suoi, sono rimasta spiazzata dal ricevere conferma che per loro fosse assolutamente inconcepibile che Debora, per qualsiasi causa, rivedesse i suoi impegni di studio e rischiasse di calare anche solo un briciolino i numeri in pagella (quasi tutti a due cifre, da sempre). Per questa mamma e questo papà, e così per i rispettivi loro genitori, non esisteva (non esiste) altra possibilità di essere studenti: ‘o l’eccellenza o niente’ il motto di casa del babbo, da generazioni! E nessuno finora pare abbia ancora spezzato queste catene. Capite bene come Debora porti in seduta non solo la propria pesante zavorra ma anche e soprattutto le pesantissime zavorre familiari. Debora ed io stiamo lavorando al momento affinchè possa quantomeno immaginare – per prima nel suo albero genealogico – di poter rompere queste catene, liberarsi dai condizionamenti superflui e dannosi, e riscoprire il piacere di studiare per portare avanti i propri progetti, per realizzarsi, per donare anche ai suoi la chance di scoprire che – quando sarà libera e serena – loro stessi potranno sentirsi più leggeri e felici…Spero che vi potrò raccontare di questo lieto fine, anzi, di questo lieto nuovo inizio, tra un po’ di tempo. Intanto w Debora e la grande forza vitale, che sta contattando in sé, per interrompere questa sofferenza transgenerazionale!

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