PSYCHO – COLLOQUI

Qui si apre un capitolo che non è pensabile trattare in un unico post. E che in ogni caso non ho intenzione di affrontare “tecnicamente”, o riproporrei quanto potete trovare in qualsiasi manuale di psicologia clinica.

Collega psycho, se hai incontrato una Persona 3 volte e ancora non hai un quadro abbastanza chiaro e completo della sua Storia, dei motivi per cui ti ha chiesto aiuto e di quali sono le tue possibilità di fare qualcosa per lei – lasciamo stare l’inesperienza che certamente gioca la sua parte – hai necessità di modificare qualcosa nella tua gestione dei colloqui.

Cara Persona che chiedi aiuto, mi rivolgo anche a te, se hai già incontrato un/una professionista psycho una, due, tre volte, e sei tornato/a a casa con la sensazione che non ti abbia dato nulla (di rado, ma può succedere), non bruciarti la possibilità dell’aiuto, chiudendo con lui/lei e con chiunque, piuttosto rivolgiti altrove. L’optimum è parlarne con chi ti sta seguendo, di questi tuoi dubbi, prima di ipotizzare interruzione e cambio, perché probabilmente avrete la possibilità di chiarirvi e comprendervi, iniziando a costruire una buona alleanza terapeutica e il vostro percorso insieme. Ma di questo, in onestà, non dovresti occuparti tu e non dovresti averne tu responsabilità (qui il mio post sulle responsabilità nella Relazione d’aiuto); in ogni caso, ben venga uno scambio costruttivo con il/la tuo/a psycho, per decidere insieme se proseguire e come.

Riprendo dalla faccenda di modificare qualcosa nei colloqui. Possono essere di due tipi opposti – schematizzando – i motivi per cui, giovani collegh* psycho, non riuscite in un tempo congruo di tre sedute ad ottenere un quadro utile a procedere: o non guidate il colloquio voi, lasciando la Persona allo sbaraglio, o la guidate troppo, per incasellarla in un vostro schema predefinito di domande. Nel primo caso, il/la Paziente farà ciò che fa di solito tra sé e sé, cioè continuerà a ripetersi le stesse cose, nei modi abituali, per darsi una (chiaramente più che lecita) spiegazione di ciò che gli/le accade; probabilmente uscirà dalle sedute quantomeno con un senso di sollievo, avendo ricevuto ascolto – il chè non è poco – ma senza la percezione di aver fatto un’esperienza diversa da quelle che può fare fuori dalla seduta (cosa necessaria per porre le basi per proseguire, più di quanto si possa forse immaginare). Nel secondo caso, il/la Paziente ci darà probabilmente molte info, per permetterci di completare la sua anamnesi secondo i nostri modelli, ma potranno mancarci proprio quei pezzi fondamentali per avere accesso al nucleo del suo Dolore, quello che, più o meno consapevolmente contattato dentro di sé, lo/la ha portat* da noi; e se non entriamo in contatto con quel Dolore, la Persona non sentirà di potersi affidare (e forse, stando in un colloquio molto strutturato, non si porterà via nemmeno quella sensazione di sollievo che invece nei primissimi colloqui deve proprio esserci).  

Esempio 1) stralcio di colloquio, tratto da una supervisione ad una giovane collega, in cui il Paziente (Pz) non viene guidato

Pz:ho deciso di farmi aiutare perché non so più come fare con l’ansia, non riesco a farmela passare, per me lo psicologo è forse l’ultima spiaggia ma non so nemmeno cosa potrebbe fare per aiutarmi’,

Psy:certo, capisco che sia difficile, mi racconti pure qualcosa di lei’,

Pz: ‘beh non saprei bene, diciamo che ho sempre pensato di essere una persona forte, non mi sono mai fatto grossi problemi men che meno per delle cavolate, invece adesso e già da mesi, non so perché, sono crollato, vado in tilt per niente’,

Psy:quindi è sempre stato forte e ora invece non si sente più forte, si sente debole?’,

Pz: ‘si, ma non capisco i motivi, ci penso e ci ripenso ma non so proprio, non è successo niente di così grave’,

Psy: ‘quindi anche se non è successo nulla di grave, lei non si sente più forte come prima?’,

Pz: ‘si, infatti, secondo lei, dottoressa, come mai?’,

Psy: ‘ci possono essere tanti motivi per questo, ora non saprei dirle, man mano che la conosco posso esprimermi di più, mi dica ancora qualcosa di lei’.

Ecco, credo che già da queste poche frasi si capisca come non ci sia stato un vero scambio, l’ascolto attivo c’è stato sicuramente ma la collega non ha impresso una direzione al colloquio (che è poi continuato con questo mood per tutta la seduta e per le due sedute successive, infatti si è rivolta a me perché non riusciva a farsi un’idea di come muoversi nell’intervento con questo Paziente). In questo caso, la collega utilizza il riepilogo e la riformulazione e le domande aperte, tecniche tutte lecite e utili nel colloquio, ma qui risultano fini a se stesse, ampliano il dialogo ma non lo approfondiscono e non lo rendono mirato e funzionale all’aiuto.

Esempio 2) stralcio di colloquio, tratto da una supervisione ad un’altra giovane collega, in cui la Paziente (Pz) viene guidata in una maniera così strutturata da essere angusta e altrettanto inefficace

Pz: ‘le chiederei aiuto per l’ansia, ne ho sempre un po’ sofferto forse ma, come adesso, mai! Ora davvero non so più come fare, ho provato a fare yoga, meditazione, a prendere erbe naturali per dormire meglio ma niente, certe volte sto malissimo, non so nemmeno come spiegare quanto sto male!’,

Psy: ‘quando è stata la prima volta che ha sentito l’ansia?’,

Pz: ‘mah, non lo so, le dicevo che sono sempre stata un po’ ansiosa, però come adesso, così tanto, no’,

Psy: ‘provi a pensare, da piccolina? Quando andava a scuola aveva l’ansia? Anzi, già che ci siamo, partiamo proprio da lì, da quando era piccola, come potrebbe definire il suo ambiente familiare, i rapporti con i suoi genitori?’,

Pz: ‘boh, normali, non ho avuto una brutta infanzia, normale, non so’,

Psy: ‘sì ma approfondiamo meglio, mi descriva sua madre, che persona era? E com’è oggi se ce l’ha ancora?’.

Anche in questo caso, penso sia sufficiente fermarmi qui perché è già evidente che la collega ha impresso una direzione precisa al colloquio, ma scollegandosi quasi totalmente dall’ascolto, dunque dal dialogo, e spostando l’obiettivo delle sue domande verso l’ottenimento di una anamnesi che, così forzata, non favorisce la creazione di uno spazio di comunicazione, dunque di relazione, dunque di alleanza terapeutica, su cui appoggiare l’intervento.

Ci sono tanti modi per gestire produttivamente i colloqui, la maniera che provo ad illustrarvi di seguito, rivisitando i due stralci di colloqui citati, è solo una delle opzioni possibili.

Esempio 1, ipotesi di rivisitazione del colloquio per guidare di più questa Persona

Pz: ‘ho deciso di farmi aiutare perché non so più come fare con l’ansia, non riesco a farmela passare, per me lo psicologo è forse l’ultima spiaggia ma non so nemmeno cosa potrebbe fare per aiutarmi’,

Psy: ‘certo, capisco che sia difficile, mi racconti pure qualcosa di lei,  ora non lo sa lei e non lo so nemmeno io cosa si potrebbe fare, però ci prendiamo questo tempo apposta per capire e valutare insieme, direi che proprio per questo ha chiesto aiuto’,

Pz: beh non saprei bene, diciamo già, ho chiesto aiuto, difficilissimo per me, sa che ho sempre pensato di essere una persona forte? Non mi sono mai fatto grossi problemi men che meno per delle cavolate, invece adesso e già da mesi, non so perché, sono crollato, vado in tilt per niente’,

Psy: quindi è sempre stato forte e ora invece non si sente più forte, si sente debole? ci credo che possa sentirsi spiazzato da queste sensazioni in cui non si ritrova, che per lei sono nuove’,

Pz: ‘ si, ma non capisco i motivi, ci penso e ci ripenso ma non so proprio, non è successo niente di così grave’,

Psy: quindi anche se non è successo nulla di grave, lei non si sente più forte come prima? non per forza deve accadere qualcosa che riteniamo grave, a volte accumuliamo nel tempo piccoli e grandi sofferenze che poi ad un certo punto si mostrano, anche senza preavviso, in modo forte, e questo fa stare molto male’,

Pz: ‘si, infatti, secondo lei dottoressa come mai?, credo proprio di aver accumulato nel tempo, anche perché sono molto tollerante, non perdo tempo a litigare con le persone, di solito mi faccio andar bene quello che fanno, non mi interessa’,

Psy: ci possono essere tanti motivi per questo, ora non saprei dirle forse non è che non le interessa, magari piuttosto succede che sapendo di avere una buona capacità di tolleranza – che di per sé è una bella risorsa – lei stesso rischia di richiedersi troppo, di abusare della sua stessa pazienza in qualche modo, costringendosi a resistere più del necessario, più di quanto le faccia bene’.

MI fermerei qui, assicurandovi che, quando la collega ha reimpostato il quarto colloquio integrando questi spunti, ha potuto concordare con questo Paziente che lavoreranno sulla presa di coscienza, la valorizzazione e l’affermazione dei suoi bisogni, di solito non considerati.

Esempio 2, ipotesi di rivisitazione del colloquio per lasciare più libera la Paziente di aprirsi

Pz: ‘le chiederei aiuto per l’ansia, ne ho sempre un po’ sofferto forse ma, come adesso, mai! Ora davvero non so più come fare, ho provato a fare yoga, meditazione, a prendere erbe naturali per dormire meglio ma niente, certe volte sto malissimo, non so nemmeno come spiegare quanto sto male!’,

Psy: quando è stata la prima volta che ha sentito l’ansia quindi l’ansia è qualcosa che conosce bene, che l’accompagna da molto tempo, ma ultimamente sta diventando più difficile da sostenere?,

Pz: mah, non lo so, le dicevo che sono sempre stata un po’ ansiosa, però come adesso, così tanto, no si, esatto’,

Psy: provi a pensare, da piccolina? Quando andava a scuola aveva l’ansia? Anzi, già che ci siamo, partiamo proprio da lì, da quando era piccola, come potrebbe definire il suo ambiente familiare, i rapporti con i suoi genitori? cosa sente di diverso rispetto a prima, rispetto a quando l’ansia in qualche modo era una sua compagna non così fastidiosa?’,

Pz: boh, normali, non ho avuto una brutta infanzia, normale, non so che sto molto peggio perché qualsiasi cosa faccia per farmela passare, come le dicevo, erbe, yoga, ecc, non serve, non risolvo, è come se fossi in balìa di qualcosa che prima, bene o male, riuscivo a controllare!’,

Psy: sì ma approfondiamo meglio, mi descriva sua madre, che persona era? E com’è oggi se ce l’ha ancora? forse è proprio questo un punto centrale allora, forse potremmo dirci che di solito lei tende ad affrontare i problemi cercando soluzioni, cercando ciò che è in suo potere fare, dunque cosa può controllare – il chè è certo una sua buona risorsa – ma non tutto in realtà è davvero controllabile, o non dobbiamo occuparci sempre noi per forza di tutto’.

Mi fermo qui. Il percorso ha preso una piega costruttiva dopo che la collega ha raccolto questi spunti che abbiamo condiviso; vi confermo infatti che questa Paziente ha acquisito la consapevolezza di necessitare di un lavoro sull’allentamento del controllo, dato che tende ad esagerare coi bisogni alterati di controllo, in particolare su sua figlia, generando anche nella ragazza malesseri importanti.

Questi due colloqui rivisitati direi che si sono mossi ‘per cerchi concentrici’: la metafora può essere il lancio di un sassolino nel lago, con la prima domanda, centrata sul motivo per cui la Persona sta chiedendo un aiuto; ascoltando molto attentamente la risposta (non solo i contenuti, ma anche i toni, il ritmo dell’eloquio, l’atteggiamento comunicativo … aspetti che tratterò in futuri post), proprio da questa risposta si va ad allargare lo sguardo sul cerchio concentrico un po’ più grande, e poi ancora, lasciando che la direzione sia sempre possibile in entrambi i sensi, verso i cerchi più grandi e di nuovo verso i più piccoli. Questo permette di restituire sin da subito, alle Persone che ci chiedono aiuto, un Senso, una Visione più ampia di ciò che accade loro, delle difficoltà che stanno faticando ad affrontare, che (nei cerchi più larghi che gli mostriamo) sono sia le risorse che hanno attivato (di cui spesso sono poco consapevoli, quindi noi le valorizziamo), sia le motivazioni per cui queste risorse, utilizzate troppo, o troppo a lungo, si sono trasformate invece in trappole, cioè chiudono le porte a modalità differenti – e più salutari – di approccio alle situazioni di vita. La direzione è doppia, di andata e ritorno, perché spostiamo l’attenzione dal centro (motivo di sofferenza portato dalla Persona) verso i cerchi più ampi (risorse e trappole) ma chiudendo poi il colloquio col ritorno al centro, cioè alla sofferenza, che ora non è più così scollegata e insensata per il/la Paziente ma un po’ più compresa, e persino accolta come parte di sé, dunque già per questo più accettabile.  

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