MA NOI PSYCHO POSSIAMO FARCI VEDERE STRESSAT*?

Perché voglio parlarvi di questo: perché tempo fa pensavo questa domanda avesse una risposta ovvia, poi mi sono ricreduta. Spiego però che mi sono ricreduta sui motivi e non sul tipo di risposta. Quindi dirò subito che per me la risposta è no! Noi psycho non possiamo farci vedere stressat* dai/dalle nostr* Pazienti.
Molto tempo fa avrei risposto sempre no, ma basandomi sull’idea di ruolo, di immagine da trasmettere, per cui lo/la psycho è una sorta di entità che non ha una vita fuori dallo studio ma esiste solo nel tempo della seduta, poi finisce gli appuntamenti della giornata, si cambia d’abito, chiude la sua stanza da psycho e ritorna a casa, nei suoi altri ruoli, possibilmente staccando la spina e non portandosi a casa il lavoro (cioè le emozioni, le paure, le tristezze, i desideri, le soddisfazioni, le Storie…insomma le Anime delle Persone). No, per carità, non funziona, non può e non deve funzionare così!
Oggi, e da tanto, continuo a credere che i/le nostr* Pazienti non debbano avere a che fare col nostro stress, ma per una questione di sostanza, non di forma! Noi psycho non siamo immuni da stress, naturalmente. Ma diciamoci subito una cosa: se stiamo attraversando un periodo delicato, difficile, in cui ci sentiamo davvero mess* a dura prova da situazioni personali che ci tocca affrontare, mi raccomando, prendiamo coscienza della necessità di staccare dal lavoro, tutto il tempo che serve, per dedicare energie a noi, per prenderci cura di noi. Certo, mille preoccupazioni ci assaliranno ‘oddio, come farò con Roberto che in questo momento è disperato, con Anna che sta finalmente liberandosi di quella relazione tossica, con Giulio che non esce dalla sua stanza, proprio ora che aveva iniziato a mettere il naso fuori casa almeno per venire alla seduta, e …’…e vai così con l’angoscia verso tutt* i/le nostr* Pazienti, verso cui non solo sentiamo ed abbiamo grandi responsabilità (vedi questo post) ma anche proviamo grande Amore. Lo so, lo capisco bene com’è, ma inutile, se stiamo vivendo qualcosa di grosso (non di grosso in senso assoluto, noi psycho sappiamo che fa assolutamente testo la realtà soggettiva), non possiamo prendere sottogamba la situazione, sovraccaricarci di pesi che temporaneamente non possiamo reggere – quelli dei/delle Pazienti, a cui non saremo davvero d’aiuto – intanto che dobbiamo sostenere i nostri fardelli con tutte le forze a disposizione; in certi momenti, bisogna saper fermarci, medicarci (e farci medicare) le ferite, riprenderci, e solo poi, tornare. In un prossimo post potrei parlarvi di come gestire le pause dei percorsi, quelle programmate e quelle impreviste; adesso torniamo sul tema di oggi: se stiamo attraversando un periodo troppo tosto da gestire, ok, concordato, ci si ferma. Ma cosa ci possiamo dire rispetto allo stress quotidiano, quello fatto di alti e bassi, quello inevitabile, quello non (del tutto) modificabile, quello di conciliazione vita/lavoro, quello fatto di stanchezze, tristezze, difficoltà, malumori passeggeri? La metterei in questo modo: come non sposerei il personaggio ‘psycho-robot’ (quello descritto prima, che per ruolo esibisce un’immagine no-stress, come se nulla lo scalfisse), così pure starei attenta ad infilarmi nel personaggio ‘super-psycho-arrivo-ovunque-ma-non-ho-mai-tempo-perciò-sono-sempre-di-corsa-e-col-fiatone’. Vi è mai capitato di avere a che fare con Professionist* dell’aiuto che sfoggiano a mo’ di vanto questo ritornello? Secondo me si, purtroppo, e non mi dite che il genere vi affascina perché non vi credo. E’ francamente terribile affidarsi a figure terapeutiche (in senso lato) non in grado di accedere ad una propria dimensione di serenità, in balia dello stress, o – anche peggio – che ostentano questa condizione di agitazione perenne imprigionati da un’iperattività convulsa. Vi prego, non fatevi abbindolare da quell’idea che essere di corsa significhi essere brav*, perché siamo tanto richiest*. Alle tante richieste (che in effetti prima o poi iniziano a pervenire una dietro l’altra, se ben abbiamo seminato) si deve saper dire di no! Approfondirò la questione dei ‘no’ in un futuro post, ora voglio calcare la mano su questo, che è per me il concetto chiave con cui concludo questo articolo: dobbiamo essere in grado di non trasmettere il nostro stress ai/alle Pazienti non perché lo camuffiamo, o perché recitiamo la parte degli/delle invulnerabili, ma proprio perchè costantemente lavoriamo su di noi. Teniamo a bada il carico, che non sia troppo (e non decidiamolo una volta per tutte cosa è troppo, ma riguardiamoci periodicamente, sulla base di come stiamo, dei nostri impegni familiari, dei progetti a cui desideriamo dedicarci, ecc.); aggiustiamo i nostri ritmi man mano, così che non succeda (salvo eccezioni, imprevisti, situazioni particolari) che andiamo in affanno (e che lo trasmettiamo); siamo premuros* nell’aver cura di noi, insomma, facendo quelle cose che magari ci ritroviamo a dire alle Persone: ‘prenditi i tuoi spazi’, ‘fai anche cose che ti piacciono’, ‘riposati’, ‘stai con chi ti fa star bene’, ‘chiedi aiuto’, ecc. ecc …Non vorremo mica lanciare aria fritta nel vento, vero?! Se lo ‘predichiamo’ dobbiamo essere credibili e per essere credibili, dobbiamo praticare la cura di noi. Questo è, non si scappa. Ecco perché alla domanda ‘ma noi psycho possiamo farci vedere stressat*?’ rispondo no. Non è un ‘no’ di apparenza, dobbiamo imprescindibilmente impegnarci con dedizione perché in questo ‘no’ ci sia sostanza: il nostro Ben-Essere, come Scelta, come Pratica, come Accettazione del Dolore quando non si può fare altro che Accoglierlo, come Consapevolezza, come Capacità di trovare in noi Risorse di Calma, di Gioia, di Entusiasmo, di Condivisione, laddove lo Stare, il Lasciare, o il Cambiamento, sono la chiave.

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